domenica 17 febbraio 2008

COME IL FRANGERSI DELLE ONDE

di Roberta Trisconi

 

 

Distesa sul letto, leggeva un libro sui Nativi americani, una musica aleggiava

nella stanza creando un’atmosfera di pace e serenità.

Era stanca mentalmente, non riusciva nemmeno a concentrarsi sul libro che teneva in mano, sentiva il bisogno di staccare da tutto e da tutti.

Nell’ultimo anno erano successe tante cose e, adesso, sentiva che era il momento di dire basta.

Ripose il libro tanto non era riuscita a capire niente di quello che c’era scritto.

Mentre ascoltava quella bellissima musica si concentrò su di un pensiero nella sua testa che non riusciva a prendere forma. Il suono del telefono la distrasse da tutto ciò e la riportò alla realtà

-Pronto- disse

-Ciao come stai?- Rispose la voce all’altro capo del filo. Era Davide il suo pseudo ragazzo.

-Bene, tu invece?-

-Non mi lamento, cosa facevi, ti ho disturbato?-

-Niente di particolare, ero coricata sul letto ed ascoltavo della musica-

-Sei sola in casa o vengono i tuoi a trovarti?-

-No sono sola oggi non viene nessuno-

-Allora vengo lì, va bene?-

-Certo, ti aspetto!-

Non c’era entusiasmo in nessuno dei due, così si chiese se provava ancora qualcosa per lui. Era confusa, non sapeva cosa pensare.

Decise di non pensare, era inutile fasciarsi la testa prima di rompersela e poi dopo poco lo avrebbe visto.

Il suono del campanello annunciò il suo arrivo, quindi andò ad aprire la porta.

Si guardarono per un instante poi lui entrò in casa. Il cuore di lei perse un battito e un brivido le percorse la schiena, le succedeva sempre quando lo vedeva. Chiuse la porta dietro di se e tornò a guardarlo, ma quello che vide nei suoi occhi non le piacque per niente ma non disse niente e si costrinse a rimanere fredda.

Lui le diede un bacio sulla fronte e un campanello d’allarme suonò nella testa di lei, senza esitare un attimo gli chiese:

-Cosa c’è che non va?-

Non si stupì della sua domanda, conosceva bene il suo intuito.

-Elisabetta, ecco…………-

-Davide non tergiversare, di quello che mi devi dire e basta!- Sapeva cosa doveva dirle, ma non voleva rendergli la vita facile.

-Penso sia meglio non vederci più!- Glielo disse tutto d’un fiato, nel tono della sua voce c’era tristezza ma allo stesso tempo sicurezza e convinzione per quello che le aveva detto.

Elisabetta rimase a fissarlo per un tempo indefinibile, il sentirgli dire quello che già aveva intuito fu come una doccia gelata. Sentì le lacrime, ma le ricacciò indietro, non voleva piangere davanti a lui. Si rese conto di amarlo, ma capì di averlo intuito troppo tardi, già era troppo tardi ormai. Lo fisso a lungo poi gli disse semplicemente:

-Ho capito, adesso penso che tu te ne debba andare, ma prima mi puoi dire almeno il perché…..-

-Ho bisogno di stare solo e di capire, sai di capire me, te, noi, tutto. La testa mi scoppia. – Le lacrime gli segnavano il viso, lei avrebbe voluto stingerlo a se e consolarlo ma non lo fece.

-Adesso è meglio che tu te ne vada- disse lei aprendogli la porta

-Addio Davide- Lui la guardò negli occhi ma non riuscì a leggervi niente, il suo viso era inespressivo.

Non disse niente, ed uscì da quella casa dalla sua vita, sentì la porta che si richiudeva dietro di lui e capì, troppo tardi, l’errore che aveva appena fatto.

Elisabetta scoppiò in lacrime era la fatidica goccia, il suo vaso ormai era traboccato. Voleva andare via, via da quella casa, via da quella città ed ecco che nel tumulto dei suoi sentimenti l’idea prese forma. Chiamo sua sorella Michela e le disse tutto quanto le era successo quel giorno piangeva e parlava allo stesso tempo, infine le disse anche dei suoi pensieri e sorprendentemente sua sorella si disse d’accordo, l’avrebbe aiutata a realizzarla.

Le ci vollero due settimane per la preparazione e in tutto quel tempo era stata male, non riusciva a non pensare a Davide; ma adesso seduta sulla comoda poltrona dell’aereo sentiva di stare finalmente facendo la cosa giusta tutti i dubbi e le incertezze di quei giorni erano scomparsi.

Era diretta alle Hawaii dove aveva un amico che l’avrebbe ospitata per il periodo di tempo necessario a trovare lavoro e sistemarsi. A questo pensiero una gioia mista eccitazione la pervase quale sarebbe stato il suo stile di vita d’ora in avanti?

Non lo sapeva ma non le importava.

Assorta com’era dai suoi pensieri, sin dall’inizio del viaggio, non aveva nemmeno osservato il vicino di poltrona il quale, si accorse, la stava fissando. Lei gli sorrise timidamente, chissà cosa aveva da guardala in un modo così insistente era tentata di chiederglielo quando lui le rivolse la parola

-Scusa se ti ho fissato, ma assorta nei tuoi pensieri avevi un’espressione così serena che non ho potuto trattenermi dal guardarti. -

Gli sorrise non sembrava pericoloso e parlò a sua volta

-Figurati non importa, sai stavo pensando, l’idea di dove mi sta portando quest’aereo mi ha rilassato e eccitato di gioia che… non so nemmeno io cosa dire. –

-Non devi dire niente, ma dove stai andando di bello?–

-Alle Hawaii, vado a Waikiki dove spero di trovare un lavoro e un posto dove sistemarmi al più presto. –

-Ma come, vai senza nessun punto di riferimento o un appoggio…..-

Elisabetta lo interruppe senza fargli finire la frase

-No no non sono sola, ho un amico che mi ospiterà per il periodo necessario a sistemarmi. -

-Ma come hai deciso di lasciare l’Italia?-

-Non sono sicura di lasciarla completamente, ma adesso ho bisogno di andarmene e sono sicura che il cambiamento mi farà bene-

-Sento una nota di tristezza mista a speranza nella tua voce, è così?-

-In parte hai ragione, o meglio hai ragione… due settimane fa sono stata lasciata da una persona della quale credevo non me ne importasse nulla, invece dopo averlo perso mi sono accorta di provare per lui qualcosa di molto profondo. Ma ormai era troppo tardi. Sia ben chiaro che non sto fuggendo, quest’idea mi girava da tanto tempo nella testa e penso che il fato abbia fatto in modo che io potessi attuarla. –

-Scusami ti sto raccontando la mia vita e non mi sono nemmeno presentata. Piacere io sono Elisabetta. -

-Scusami tu ti ho investito di domande senza presentarmi piacere mio io sono Marco. -

-Marco che bel nome, sai ho un mio carissimo amico di Firenze che si chiama così-

- Anch’io sono di Firenze, o meglio della provincia. Quanti anni hai? Io ne ho 32.-

-Io ne ho 28, Ma scusa che ore sono? Mi sono accorta adesso che fuori non c’è più luce. -

-Non lo so esattamente ma presumo sia molto tardi guarda hanno già spento le luci siamo gli unici ancora svegli. -

-è vero, hai ragione, forse è meglio che spegniamo anche noi e non disturbiamo più le persone che vorrebbero dormire. -

-Per me va bene, ma tu riuscirai a dormire?- Le chiese Marco.

-Non lo so ma ci proverò - rispose lei con un filo di voce.

-Se vuoi appoggiati pure alla mia spalla e se vedi che proprio non riesci a dormire chiamami. Adesso spengo e buona notte-

-Grazie e buona notte a te-

Marco spense le luci, la prima classe piombò nel buio più assoluto Elisabetta si volse a guardare fuori dal finestrino le stelle che popolavano il cielo. Erano sull’oceano atlantico, la luna splendeva nel cielo sereno e si rispecchiava nell’acqua. Si rigirò a guardare il suo compagno di viaggio che dormiva e ne osservò i lineamenti, non erano belli o perfetti, anzi, il naso era a patatina, il viso un pochino tondo ed era cicciotello, ma stranamente le piaceva, le dava un senso di sicurezza. Appoggiò la testa sul suo petto per sentire il suo cuore battere, non sapeva perché lo stesse facendo ma l’istinto glielo fece fare. Il cuore batteva lentamente e il respiro era profondo, segno che stava dormendo. Un pensiero le attraversò la mente dicendole “BACIALO!” e lo fece, appoggiò le labbra umide sulla sua bocca, per dargli il bacio, invece con la lingua cominciò a stuzzicargli gli angoli e ne disegno il contorno. Quella bocca si dischiuse e le due lingue si unirono. Le braccia di lei si incrociarono dietro la nuca di lui mentre lui la teneva cingendole la schiena. Il bacio divento sempre più intenso e i loro respiri si fecero affannosi.

Elisabetta si staccò dalla bocca di Marco per scendere lungo il suo collo e risalire poi sino alle orecchie. Non riusciva a capire cosa le stesse succedendo, era uno sconosciuto, ma non riusciva a fermarsi, ormai era in braccio a lui e sotto di lei sentiva crescere il suo desiderio. Una mano di lui si insinuò sotto il suo maglioncino e, dopo averle slacciato il reggiseno, le accarezzò il seno grande pieno e molto sodo.

In entrambi cresceva lo stato di eccitazione, non c’erano tante persone in quella classe, ma se avessero fatto rumore di sicuro qualcuno si sarebbe svegliato.

Marco le mise una mano sotto la gonna… è strano pensò lei non viaggiava mai con le gonne, non erano molto comode, eppure quel giorno… la mano di lui scostò le mutandine e con due dita le stuzzicò il clitoride. Lei gli slacciò i pantaloni, in modo da far uscire il suo sesso che adesso si ergeva di fronte a lei. Glielo massaggiò con una mano mentre le loro bocche erano di nuovo unite in un bacio travolgente. Quello che aveva tra le mani era grosso e molto duro, le dita di lui l’avevano eccitata moltissimo, con l’unica mano libera si tolse gli slip e girandosi si mise a cavalcioni di lui, il quale, dopo aver tolto le mani di lei, prese il suo membro e lo guidò all’interno di lei. In un primo momento le fece male, ma si abituò subito alla sua grandezza. I movimenti erano lenti ma decisi, lui la teneva per le natiche, mentre con un dito le stuzzicava l’ano. Elisabetta chiuse gli occhi e si lasciò andare a quel piacere improvviso e dolce. Lui le baciava il collo prima e le stuzzicava il seno dopo, i movimenti di lui erano ritmici, ma lei cominciò a muovere il bacino circolarmente per aumentare il piacere di entrambi, lui gemette di piacere e lei lo azzittì baciandolo. Tutto intorno a lei prese a girare quando un orgasmo la colse improvvisamente, con la testa si accascio sulla sua spalla, ma non smise di muoversi sopra di lui. Marco la fece alzare e girare su se stessa, la voleva seduta su di lui come se la stesse tenendo in braccio, così da poterla penetrare da dietro. Si insinuò nuovamente in lei ma questa volta con un colpo secco che la fece fremere di piacere. Adesso si muoveva più velocemente e i colpi erano molti più duri. Le alzò la maglia e le morsicò la schiena, voleva lasciarle un segno e ci riuscì, pensava di averle fatto male, ma in realtà a lei piacque moltissimo. Il ritmo di lui cambiò ancora, e lei capì che stava per venire, così buttò all’indietro la testa e il collo, lui vi nascose dentro la sua e con un gemito lungo e silenzioso venne. Un liquido caldo la pervase e un brivido le percorse la schiena. Si lasciò andare sulla sua spalla, i loro respiri era affannosi, i cuori battevano fortissimo; a Elisabetta piaceva quella sensazione di gioia ed eccitazione per quello che aveva fatto con questo sconosciuto, non voleva staccarci da lui ma decise di farlo.

Stava per alzarsi quando lui la fermò, le prese il volto e la baciò dolcemente, Marco era a sua volta disorientato da tutta questa situazione e ancora non si capacitava di aver fatto l’amore con un’estranea, ma soprattutto in aereo.

Elisabetta si scostò leggermente in modo da far uscire il pene da lei e poi con movimenti lenti e delicati lo ripulì con un fazzoletto e lo ripose nei calzoni di lui.

A sua volta prese le sue mutandine e se le rimise, per lei era più difficile ripulirsi, quindi si alzò e si diresse verso la toilette con la sua borsa.

Quando fece ritorno al suo posto Marco era ancora sveglio e la stava aspettando, lei si sedette, era stanca e aveva sonno, lui la guardò in viso e senza dire una parola la fece coricare tenendo fra le braccia il busto di lei. Si addormentarono così, abbracciati.

Dormì profondamente, si svegliò quando la hostess li chiamò per la colazione. Elisabetta aprì gli occhi e incontrò subito lo sguardo di Marco. Il suoi occhi la fissarono per un lungo istante.

-Buon giorno, finalmente ti sei svegliata- le disse lui

-Buon giorno, ma scusa tu quando ti sei svegliato?-

-Circa 2 orette fa, dormivi così ben che mi dispiaceva svegliarti, così ti ho lasciato dormire, cosa prendi per colazione?-

-solo un tè caldo con il limone, non ho fame adesso-

-Qualcosa non va?! Mi sembri turbata…-

-Niente di particolare, ripensavo alla notte scorsa… mi stavo chiedendo cosa mi fosse preso, di solo non assalgo gli uomini, tanto meno uno appena conosciuto e soprattutto non su di un aereo… mah, che dire niente- gli disse sorridendo

-Te ne sei pentita?-

-Assolutamente no, non mi pento mai di quello che faccio…-

Detto questo prese in mano la sua tazza di tè e cominciò a sorseggiarla guardando fuori dal finestrino, non sapeva esattamente che ore fossero, ma sapeva che entro poco tempo si sarebbe trovata sull’altro aereo che l’avrebbe portata verso la sua nuova vita.

Si voltò verso Marco e disse

-Tu invece dove sei diretto? Ti fermi a New York o vai da un’altra parte?-

-Mi fermo a New York, ci sto andando per lavoro-

-che lavoro fai?-

-ho una azienda di import export di prodotti alimentari-

-ok, capisco l’esportazione, l’Italia è il paese dell’alimentazione, ma cosa importi in quanto a cibo?-

-quei prodotti particolari che in Italia non crescono, intesi come frutta prevalentemente-

-mm, capisco. Hai tanti clienti in America?-

-parlare di clienti in America è esagerato, ho qualche cliente a New York, Houston, Miami, Las Vegas e san Diego

- Las Vegas... strana città per esportare prodotti italiani, forse perché l’ho sempre considerata esclusivamente come la mecca del divertimento-

-ed è così infatti, solo che negli alberghi, per i clienti particolari, ricercano sempre delle prelibatezze italiane, e devo dire che ormai sono i miei migliori clienti-

-non faccio fatica a crederlo sai. Quanto ti fermi?-

-devo fere tappa solo a New York, quindi 1 settimana. Tu invece quanto tempo pensi di fermarti alle Hawaii?-

-non lo so sai, è tutto così strano e talmente nuovo che non so esattamente cosa farò... spero solo che l’esseri allontanata dalla mia vita e dai miei affetti più cari possa servire a farmi capire cosa realmente voglio. Ho chiuso la porta in faccia a Davide, ben sapendo che mi sarebbe bastato fermarlo e coccolarlo un pochino per farlo rimanere e fargli capire che nella realtà entrambi provavamo amore l’uno per l’altra, ma non l’ho fatto, ho fatto le valigie invece... ti sembra un comportamento maturo?!-

-cominci a non essere più sicura della tua scelta?-

-credo di non essere sicura di nulla che mi riguardi... posso solo aspettare e vedere come andrà a finire, lasciare che trascorra un pochino di tempo e se i miei sentimenti non cambieranno tornerò all’ovile...-

-parli dei tuoi sentimenti per Davide?-

-no, dei miei sentimenti per tutto...-

La voce del capitano comunicò l’imminente arrivo nell’aeroporto JFK da lì Elisabetta avrebbe dovuto pendere un altro aereo per Los Angeles e poi l’ultimo volo per le Hawaii.

Lei e Marco scesero insieme, dirigendosi verso la dogana, dopodiché si sarebbero divisi, lei si sarebbe diretta verso la gate, mentre lui all’uscita dell’aeroporto. Si salutarono come due vecchi amici, ma niente di più, per Elisabetta era stato una valvola di sfogo, mentre per lui un piacevole diversivo che gli aveva permesso di passare il tempo più velocemente.

Lei gli girò  le spalle dirigendosi dall’altro lato del terminal, e Marco rimase ad osservarla andarsene, guardò le sue spalle dritte, la sua vita stretta e l’ondeggio dei suoi fianchi, distolse lo sguardo quando si accorse di avere un’erezione; dopodiché uscì dall’aeroporto e dalla sua vita.

Quando atterrò all’aeroporto di Honolulu il suo amico era lì ad attenderla, si salutarono velocemente presero i bagagli ed andarono a casa.

Raccontò a Jeremy tutto quello che era successo, gli aveva chiesto di ospitarla ma non aveva voluto dargli spiegazioni, e adesso gliele doveva.

Lui l’ascoltò attentamente, non la interruppe e non fece nemmeno una piega quando gli racconto dell’avventura avuta in aereo con uno sconosciuto, o meglio, di come fosse saltata addosso allo sconosciuto.

-Guarda l’oceano Beth... e impara da lui...-

-Cosa intendi dire Jeremy...-

-Che lui non lascia logorare da nulla e nessuno, cercano in tutti i modi di ucciderlo, ma lui è ancora lì e sa come incutere timore...-

-Avevo dimenticato quanto fossi enigmatico...-

-non sforzarti le risposte arriveranno, sei qui apposta giusto...-

Beth aveva anche dimenticato quanto fosse perspicace e soprattutto bello. Era il classico surfista, biondo  capello mosso, occhi azzurri, fisico disegnato, e un sorriso accattivante.

-Jeremy dove andiamo adesso?”

-Prima a casa a mettere giù le valigie, poi, siccome non voglio che tu venga presa dal jet lag, ti porto in spiaggia a fare un bel bagno ristoratore e dopo vediamo, quello che sarà sarà-

Da bravo surfista la stanza del suo amico era proprio sulla piaggia, solo che si trattava di una caletta ritirata, dove ci andava solo chi la conosceva.

Depose le valige in quella che sarebbe stata la sua camera, si mise il bikini, prese la crema solare ed il pareo e scese in spiaggia.

Aveva sonno, ma decise di vincerlo facendosi un bel bagno in quell’acqua cristallina, che tanto aveva sognato nei giorni precedenti la sua partenza.

Una volta in acqua si tolse anche il costume, e piaceva la sensazione dell’acqua su tutta la sua pelle, la faceva sentire libera, pulita, insomma un’altra persona.

Nuotò un pochino poi si mise a fare il morto e chiuse gli occhi.

Quando li riaprì, dopo un tempo indefinito, ritornò verso riva e vide il suo amico intrattenersi con una bellissima ragazza bionda, lei fece finta di niente, e si diresse dove aveva lasciato le sue cose, si tamponò l’acqua e si cosparse di crema con un fattore protettivo totale essendo molto bianca di carnagione e facile agli eritemi. Mentre si metteva la crema pensò a quanto si sentisse in pace in quel momento, anzi era completamente in estasi; voltò lo sguardo per cercare il suo amico, ma non lo vide, probabilmente si era appartato con la biondina, così si coricò e chiuse gli occhi.

I sogni affollarono subito la sua mente, era in casa sua e parlava con Davide il quale le diceva di non amarla e di non averlo mai fatto,era stata solo un bel diversivo ma niente di più; si vide piangere di dolore e di rabbia, dopodiché era sull’aereo e al sua fianco c’era uno sconosciuto, rivide la scena della seduzione e della sfacciataggine con cui si era concessa ad un perfetto sconosciuto. Adesso era sola in una stanza buia e senza finestre, urlava pensando che qualcuno la potesse sentire ma non c’era nessuno tranne a sua coscienza che urlava dentro di lei, sentiva  il dolore, era intenso e le faceva male, scoppiò a piangere urlando e chiedendo scusa a quella voce che dentro le faceva tanto male, voleva essere perdonata per tutto il male che aveva fatto, non tanto agli altri, ma a se stessa, alla sua anima.

-Beth svegliati, stai sognando...- Jeremy la scosse leggermente per farla riprendere.

Quando aprì gli occhi lo vide al suo fianco, aveva l’aria preoccupata

-stai bene? Stavi piangendo e ti muovevi come una matta... cos’hai sognato?-

Lo guardò negli occhi e la voce riprese ad urlare il suo dolore dentro di lei, si aggrappo alle spalle del suo amico e ricominciò a piangere, non diede spiegazioni, pianse fuori tutta la sua tristezza e basta, lui non le chiese niente, la consolò tenendola stretta e dondolandola leggermente.

Le ci volle parecchio tempo per trovare la calma, non riusciva a credere al dolore che stava provando, da dove era arrivato, aveva sempre creduto di essere abbastanza forte da poter sopportare tutto. Ma forse non era esattamente così che funzionava, forse il carico di brutte esperienze dell’ultimo anno aveva incrinato il suo carattere forte, sino a portarla a quello.

-Va meglio?-

-Non lo so... non riesco ancora a capire bene cosa mi sia successo, stavo facendo un brutto sogno, quando di puto in bianco mi sono trovata in una stanza buia, urlavo ma non c’era nessuno, poi all’improvviso ho sentito un dolore lancinante, mi mancava il fiato e l’unica cosa che sono riuscita a fare è stato piangere, chiedevo scusa, chiedevo di essere perdonata, pensando di aver fatto male a qualcuno, ma poi ho capito era solo a me che dovevo chiedere scusa, era a me che avevo fatto del male, era me stessa che dovevo perdonare. E mentre capivo queste cose, sei arrivato tu a destarmi...- gli raccontò tutto, i problemi con il lavoro, la morte di una sua cara amica, la rottura con il ragazzo, l’avventura in aereo con lo sconosciuto e tante altre cose che le erano accadute nell’ultimo anno.

Jeremy l’ascoltò senza dire mai niente non era quello di cui aveva bisogno adesso.

-ma che protezione hai messo? Sei rossa, troppo direi...-

-schermo totale... guarda è questa...-

Jeremy la prese e l’espressione che si dipinse sul suo volto fu di preoccupazione

-da quanto tempo sei qui coricata?-

-l’ultima cosa che ricordo sei tu con la biondina, poi mi sono addormentata e poi mi hai svegliata tu-

-vieni, entriamo in casa... sei stata 3 ore sotto il sole con una crema senza filtro solare, ed eri bianca come un cadavere... come minimo ti sei scottata...-

-come senza protezione...- prese il tubetto e si rese conto di avere preso quello sbagliato. Abbassò lo sguardo e si rese conto di quello che gli diceva Jeremy era vero.

L’accompagnò in casa, la fece distendere sul letto ed uscì dalla stanza, ricomparve poco dopo con una bacinella di acqua ed un gel verde.

L’acqua servì a toglierle tutto il sale dell’acqua di mare, mentre il gel era dell’aloe vera pura al 100%

-adesso rimani qui ferma...-

-ma scusa, io non sento male...-

-aspetta un pochino di tempo e vediamo...-

Aveva ragione lui, il male per l’ustione si fece sentire, con lui arrivò anche la febbre altissima.

Jeremy le rimase accanto accudendola, la lavava, le riapplicava il gel e le metteva delle pezze bagnate sulla fronte.

Rimase a letto per quasi una settimana, la febbre scomparve nel giro di un paio di giorni, ma l’ustione da sole ci mise molto più tempo, tempo in cui Jeremy le rimase accanto accudendola.

La pelle tornò ad uno stato normale, solo più abbronzata, ricominciò ad uscire e ad andare in spiaggia, naturalmente questa volta facendo attenzione che la protezione fosse quella corretta.

Il suo amico l’aiutò a trovare lavoro come cameriera in un ristorante, non molto distante da dove vivevano.

Il locale era posto in riva alla spiaggia, era tutto in legno, e mischiava lo stile moderno con lo stile Hawaiano, l’effetto era di un ambiente molto confortevole e bello da vedere; aveva anche un patio esterno con una 15 di tavoli, lì si mangiava cullati dal rumore del mare, non vi era musica all’esterno, solo all’interno, questo perché il titolare, amante della natura, voleva che i suoi clienti fossero cullati e coccolati da questi suoni. Il ristorante era posto lontano dalla strada e dalle luci dei lampioni, l’illuminazione interna era con luci elettrica ma a luce soffusa, con candele su ogni tavolo, mentre l’esterno era illuminato da fiaccole poste sul perimetro del patio e candele sui tavoli.

Il risultato di quest’ambiente era un locale sempre pieno di gente, le prenotazioni si susseguivano continuamente, si arriva ad avere sino a tre turni a sera, e le persone che non volevano lasciare l’ambiente a fine cena, potevano accomodarsi al bancone dove poter bere e chiacchierare ascoltando la musica oppure potevano andare sulla spiaggia dove c’erano delle sdraio sulle quali accomodarsi per poter chiacchierare in assoluta pace.

I colleghi di lavoro, erano tutti ragazzi giovani, c’erano 5 cameriere, 2 baristi, e 1 capo sala che si occupava dell’accoglienza dei clienti e delle prenotazioni.

Nel giro di pochissimo tempo divenne amica di tutti, si ritrovavano di giorno e nelle loro serate libere per chiacchierare o bere qualcosa, prima dell’inizio del lavoro cenavano tutti insieme e a volte capitava che fosse lei a preparare la cena, perché loro le richiedevano dei piatti italiani da gustare.

I giorni si susseguivano, le settimane divennero mesi e i mesi si susseguirono. Jeremy la portava e l’andava a prendere, vivevano ancora insieme, alla fine decisero che era meglio così per entrambi, ognuno si faceva la sua vita, lei vedeva le ragazze susseguirsi al suo seguito, tutte molto belle ma sembrava che per lui non ce ne fosse una che andasse bene.

Aveva un negozio di articoli per lo sport acquatico, soprattutto il surf, in più faceva anche da istruttore di surf, tanto chele aveva insegnato ad andarci, così nei giorni di riposo, o il pomeriggio prima di andare al lavoro, prendeva la sua tavola ed usciva in mare.

La sua nuova vita le piaceva, ormai non pensava più a Davide, e nemmeno a tutte le tristezze, era tornata a stare bene, tanto che le sue sorelle le avevano detto di non tornare, di rimanere pure lì che era sicuramente la soluzione migliore per lei, sarebbero andate loro a trovarle non appena avessero avuto un pochino di tempo.

Una sera, ormai era un anno e mezzo che viveva lì e la sua vita era cambiata completamente, era sotto il portico di casa a guardare l’oceano, ad ascoltarne il rumore ad inebriarsi del suo profumo, quando vide arrivare Jeremy con la faccia scura.

-Ciao, cosa c’è che non va?- le chiese

-Non sono affari tuoi, vado a letto- rispose lui con un tono molto secco, e si diresse in camera sua.

Elisabetta non disse niente, lo guardò dirigersi nella sua camera e chiudere la porta dietro di se, ci rimase male per la risposta, tanto che le lacrime cominciarono a rigarle il viso, ormai la magia della serata si era spezzata, sentì la tristezza riempirle il cuore, ma non era tristezza per se stessa, era per il suo amico, stava male e non doveva essere così, rientrò in casa e si diresse in camera di Jeremy, bussò leggermente ed entrò senza attendere la risposta.

Lui era seduto ai piedi del letto e si teneva la testa tra le mani, aveva il viso bagnato dalle lacrime, così lei gli si avvicinò, prese la testa fra le sue mani e l’appoggiò al suo ventre accarezzandogliela, lui si aggrappò alla sua vita stringendola il più possibile.

Beth gli diede dei baci sul capo, poi si staccò per mettersi in ginocchio e poterlo vedere negli occhi.

Gli splendidi occhi azzurri di Jeremy erano arrossati dalle lacrime, lei vi posò le labbra e glieli baciò entrambi, sapevano di sale, dopodichè si staccò e lo guardò negli occhi, lui vide che anche gli occhi di lei erano rossi per il pianto, così le prese il viso tra le mani e disse

-scusami, mi dispiace… credimi non avrei mai voluto farti piangere, ci tengo troppo a te per farti soffrire-

Dopodichè la baciò. Elisabetta rimase senza fiato, non si aspettava di essere baciata, e tanto meno si aspettava il tumulto di emozioni che la pervase.

Si coricarono sul letto, Jeremy era dietro di lei in posizione fetale, e lei si era accoccolata su di lui schiena contro pancia, le braccia di Jeremy la cinsero in un abbraccio, e lei le strinse a sua volta, baciandole di tanto in tanto. La regolarità del suo respiro le fece capire che si era addormentato, così anche lei si lasciò andare e chiuse gli occhi.

Una mano si era insinuata nelle sue mutandine e le stava massaggiando il clitoride, aprì gli occhi e vide il volto di Jeremy, la stava osservando, nei suoi occhi c’era un grandissimo desiderio. Lei non sapeva cosa dire, si rese conto di desiderarlo anche lei, così divaricò le gambe in modo da lasciargli più libertà di movimento.

Si chinò su di lei e la baciò, lei inarcò la schiena e ripiegò una gamba, nel farlo  sentì il sesso del suo amico ormai duro, e senti una fiamma ardere dentro, e capì lo voleva.

Allungò le braccia e cinse il suo collo, costringendolo a coricarsi su di lei, dopodichè lo fece girare mettendosi lei sopra di lui. Una volta raggiunta quella posizione si tolse la maglietta e slacciò il reggiseno lasciando il seno libero di ondeggiare. Jem ne prese  uno fra le mani e lo strinse leggermente, fece lo stesso con l’altra mano, stuzzicando con i pollici i capezzoli che divennero duri, allora si mise a sedere e prese il destro tra le labbra e i denti, cominciò a stuzzicarlo leggermente con la punta della lingua indurita, dopodichè aprì la bocca per succhiarlo avidamente, Elisabetta ripiegò la testa all’indietro emettendo gemiti di piacere, lui intanto le accarezzava la schiena e passava da un seno all’altro avidamente, quasi volesse saziarsene.

Beth lo costrinse a staccarsi da lei, dopo un pochino di tempo, lo fece distendere e cominciò a baciargli il corpo, partì da collo, discendendo poi sulle spalle, disegnava con la lingua il suo corpo perfetto, i suoi muscoli delineati, assaporava la sua pelle inebriandosi del suo profumo di uomo, stuzzicò i suoi capezzoli mordendoli e succhiandoli bramosamente, gli leccò i fianchi, sentendo intanto il suo membro premere contro il suo seno e sentiva la voglia di assaggiarlo crescere dentro di lei.

Ma come presa da un leggero masochismo, continuò a baciare e leccare il corpo, Jeremy gemeva di piacere, impossibilitato a muoversi, perché appena ci provava lei lo costringeva a tornare in quella posizione.

Gli baciò le gambe e l’inguine sfiorando il membro con il viso, dopodichè decise di prenderlo in mano, cominciò a muovere le mani su e giù, era circonciso, così non c’era il prepuzio a coprire la punta ormai lucida e irrorata di sangue.

Alzò lo sguardo per vedere l’espressione di lui, e vide che aveva gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, tirò fuori la lingua e la passò leggermente sulla punta, a Jeremy vennero i brividi di piacere, lei chiuse gli occhi ritirò fuori la lingua e seguì la forma della punta, per poi ridiscendere a leccarlo tutto, si muoveva lentamente, ormai lo aveva leccato tutto, aprì la bocca e lo accolse dentro di se, lo succhiò avidamente, risucchiando quanto arrivava sulla punta, intanto la mano continuava a muoversi su e giù, scendeva e risaliva , gli rigirava intorno con la lingua e poi lo mordicchiava, era presa come da un demone, il demone della lussuria, voleva sentirlo godere, gli afferrò i testicoli e ci giocò un pochino per poi leccare anche quelle, succhiarle.

Si staccò da quel pene così invitante, e vi avvicinò i seni e ve lo mise in mezzo, li strinse e si mosse su e giù, quando la punta riappariva lei la leccava o la succhiava fermandosi un attimo. E così lui venne, inondando del suo seme i suoi seni e il suo viso, con un gemito di piacere. Attese un attimo affinché si riprendesse, poi usò la lingua per ripulirlo tutto, dopodichè si diresse in bagno per pulirsi a sua volta.

Ritornò in camera, lui la stava aspettando, fuori imperversava un temporale, ma se ne rese conto solo in quel momento.

Si mise al suo fianco e avvolta nel suo abbraccio chiuse gli occhi, ma non si addormentò. Nemmeno lui dormì, era ancora eccitato da tutto quello che era successo prima, e sapeva che non sarebbe finito così, no anche lei sarebbe venuta gemendo si piacere.

Le riprese un seno tra le mani e rimase così fermo a stuzzicarle il capezzolo con le dita, sentì il respiro di Elisabetta farsi leggermente più pesante, così con l’altra mano scese e senti che era umida, il suo sesso si era eretto nuovamente così senza tanti pensieri la penetrò in quella posizione, su un fianco da dietro, un gemito uscì da entrambi, lei era calda e avvolgente, e da un anno non era stata di nessun altro, era sua in quel momento e voleva che continuasse ad essere così.

Lui le baciò il collo e lei venne dal piacere che le procurava quel gesto, si rigirò costringendolo ad uscire, voleva guardarlo negli occhi, voleva che vedesse quello che le stava facendo provare.

Jeremy allora si mise sopra di lei e la penetrò nuovamente, ma con più decisione, il seno di lei cominciò ad ondeggiare su e giù, lei si muoveva seguendo il suo ritmo, intanto si baciavano e si stuzzicavano, lui le succhiava i seni e lei gli graffiava la schiena. Erano in estasi, entrambi volevano che quel momento durasse in eterno, e fecero di tutto perché ciò accadesse.

I movimenti si fecero più intensi e più profondi e il respiro più intenso.

Fu un attimo, Elisabetta sentì il seme caldo di Jeremy pervaderla sino a scaldarle il cuore; anche lei venne, con un senso di piacere tale da esaltarle tutte le percezioni, contrasse le pareti vaginali diverse volte, prima di rilassare tutti i sensi.

Rimasero abbracciati, stanchi ed appagati, dal piacere che erano riusciti a donarsi.

Elisabetta si rese conto che non sapeva esattamente quando era successo, l’amore che adesso provava per Jeremy era stato graduale, ma proprio perché graduale era molto profondo, lui era il suo amico, il suo confidente la spalla su cui piangere quando qualcosa non andava nella sua vita, o il momento di svago quando tutto era perfetto e adesso sarebbe stato anche l’amante con cui godere serate e giornate indimenticabili.

Jeremy dal suo canto aveva sempre amaro Elisabetta, l’amava già quando le aveva detto di raggiungerlo un anno prima e, sebbene non si fosse tirato mai indietro con le altre, aveva aspettato pazientemente che anche lei si rendesse conto di amarlo.

Così adesso, abbracciato a lei, si inebriava del profumo dei suoi capelli, del profumo del suo corpo, del profumo di dolcezza e amore che emanava il suo essere, e mentre fuori il temporale era cessato, la sua tempesta interna era appena iniziata, aveva capito che sarebbe stato per sempre, come il frangersi delle onde sugli scogli.

 

 

FINE

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